
Gianni Cella: Una vita lemme lemme
19 Novembre 2013
Press release – Pietro Finelli: Border Painting
29 Gennaio 2014Gennaio 2014 - Febbraio 2014
La galleria Monopoli è lieta di presentare una mostra personale di Pietro Finelli (1957). In esposizione opere pittoriche e fotografe recenti, che portano avanti e approfondiscono la ricerca di Finelli, in quelle che sono le premesse gnoseologiche costitutive del “fare” pittorico. Perché per Finelli solo attraverso una “seria” rifessione e analisi di queste premesse, è possibile rispondere con un’immagine pittorica fondante e nello stesso tempo critica della realtà cui appartiene. “La topografa della pittura cui penso trasforma i suoi confni in soglie, come aveva effcacemente scritto Benjamin analizzando i passages parigini nel suo monumentale Passagen – Werk. I confni tradiscono un luogo autoritario, conservativo, poco attento all’espansione se non in termini colonialistici (acquisizione di nuove aree geo – politiche solo per mantenere lo status – quo, proteggerlo dagli agenti esterni, preservarlo. Come un bene privato e illimitato, per i propri fni.) La soglia marca una zona da cui partire per situazioni inesplorate, ci si apre per farsi contaminare, non un blocco chiuso, quindi, ma una zona caratterizzata che si espande o, per meglio dire, esplode/implode, si misura continuamente con il fuori che è un dentro, lo ricerca, lo attraversa. Ecco allora che la pittura è attratta da questi confni/soglie, il suo essendo un corpo mobile, in continuo divenire, il contrario di un corpo stabile, fermo (come erroneamente la cultura e/o alcuni artisti in area modernista concettuale/minimale hanno formalmente inteso)…” (P.Finelli, “Quando parlano i miei occhi / Border Painting”testo inedito, 2013). Finelli, infatti, è un artista che ama principalmente scandagliare il buio. Per questo, nella sua pittura, esplora il nero cupo, ottenuto per velature e passaggi di colore ad olio, lucentezza e opacità, segrete tonalità cromatiche troppo oscure e sedimentate per rivelarsi, tecnica antica e sentimento ancestrale. Quel nero che, per lui, prima che una dimensione estetica è una disciplina interiorizzata del fare, la ricerca di una via di fuga verso il profondo, il viaggio di un cieco che parte dal lavoro delle mani. Il nero che tanti artisti hanno vissuto come un’ossessione (Caravaggio, De Ribera, Rembrandt, Goya, Odilon Redon, Manet, Burri e altri pittori rivoluzionari) e che hanno cercato di fare proprio, con modalità differenti, obbligati ad arrendersi al rigore imposto dal colore dell’assenza: il non colore, nel quale solo una grande abilità tecnica riesce a trovare sfumature e vibrazioni. L’immagine è costruita per singoli fotogrammi, inquadrature che esplicitamente citano la fgurazione elegante, asciutta e inquieta dei flm noir degli anni ' 40, da Finelli attentamente studiati: una vera scuola dello sguardo, per un artista in bianco e nero, sedotto dall’eleganza del delitto, dall’indizio e dall’elusione dell’azione, dal tradimento delle forme, dalle visioni che sfuggono al senso defnitivo e costruiscono ipotesi di fgure. Ma, al di là dell’esplicito riferimento all’immaginario cinematografco, a ben guardare i suoi quadri portano anche i segni indiscutibili di una fascinazione barocca, attratti dai fondali di tenebre in cui i corpi si fondono stemperandosi, come per Caravaggio, in un humus macerato e suadente. Gli sfondi della pittura sacra, con quei neri tesi e inesorabili, capaci di inghiottire e ridare alla luce i corpi, di farli riaffondare e restituirli di nuovo. E, mentre in quei dipinti prende il sopravvento il soggetto, l’eletto, che emerge dall’oscurità avanzando verso lo spettatore per esporsi alla grazia della luce divina, qui il percorso dello sguardo appare invertito, perché l’oscurità è davanti, e solo sullo sfondo si intravede la luce. Se ciò che sta davanti agli occhi è quello che dobbiamo riuscire a vedere, qui bisogna accettare di perdersi nel nero in cui affonda il primo piano. (V. Tassinari)