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a cura di: Alberto Barranco di Valdivieso
Leonardo Gambini

Leonardo Gambini (Ancona, 1994), visual e urban artist, in pochi anni ha costruito un riconoscibile linguaggio astratto-geometrico usando la luce, intesa come istruzione primaria di una ricerca dalle molteplici sfaccettature concettuali e liriche. Le sue scelte formative, indirizzate soprattutto dalla frequentazione dei musei insieme allo studio delle arti visive all’Accademia di Brera, si orientano verso le avanguardie storiche e l’Arte Concettuale ma la pratica della street art, nell’orma della nuova corrente “Urban”, continua anche in quel periodo, come anche fino ad oggi, firmandosi con il tag “Elle Gi”.
L’attività di artista “oggettuale” (teche) è senz’altro un’azione diversa ma complementare a quella “ambientale” (murale urbano), eppure nessuna delle due, per l’artista, risulterà mai di importanza minore rispetto all’altra. La sperimentazione di Gambini, pur tuttavia, si è maggiormente concentrata sulle teche di plexiglas tanto da essere riconosciuto principalmente come un artista “Light&Space”. Infatti egli ha articolato negli anni una particolare interpretazione dell’astrazione geometrica attraverso l’ideazione di una macchina ottico-proiettiva che utilizzi la luce sia come una materia plasmabile che parte fisicamente integrante dell'opera stessa. La necessità di lavorare con la luce e i colori lo spinge a scegliere materiali trasparenti, ma fin dall’inizio esclude il cristallo colorato, come quello usato da Regine Schumann, perchè troppo pesante, fragile e costoso, in favore della scelta del plexiglas, leggero, maneggevole e resistente.
Attraverso la costruzione di teche di plexiglas, assemblate per incastri, chiamate Segni del Tempo, l’artista usa il sistema di filtrazione luminosa, soprattutto naturale, allo stesso tempo sviluppando l'endogena essenza plastica dell'oggetto con incastri colorati. In questo modo, elevando l’opera a qualcosa di più che uno schermo filtrante, egli restituisce alla teca un valore espressivo autonomo con una propria sintassi leggibile. In questo senso Gambini esprime una sua personale declinazione dell’arte L&S con un linguaggio dagli assunti diversi dai “canoni” base di quel movimento: egli trova non solo nella immaterialità della luce ma anche nella fisicità dell'oggetto stesso il valore dell’articolazione cromatico-luminosa.
Dunque sussistono non solo le variazioni che, per trasparenza, l’opera produce interagendo con la luce, ma anche l’espressione della stessa superficie frontale interpretata come un campo lirico, segnata da elementi cromatico-geometrici che esprimono una sintassi vicina all'astrattismo razionalista, ma anche assonanze con il Color Field, rigoroso e ortogonale, delle stringhe colorate. E sono proprio queste “stringhe”, ovvero incastri multicolore di plexiglas, che funzionano come “ingranaggi” di una “macchina ottica” attivata dalla luce, che innescano rifrazioni e trasparenze complesse.
Una concentrata stimolazione di sensazioni colpisce l’osservatore di questi lavori dal variegato impianto cromatico; molteplici impulsi che provocano nel fruitore reazioni istintive e che l’artista, proprio in virtù della scelta di cromie brillanti, desidera siano immediate e vitali.
La teca di Gambini (oggetto desunto dal museo, spazio che conserva e contiene) si trasforma, nella sua immaginazione, in un “luogo” ove conservare l’idea, contenitore dell’energia creativa dell’arte, ma soprattutto luogo di trasformazione, di filtrazione, di passaggio di energia. La teca diventa un vero e proprio elemento di avvio di un processo metafisico, cioè che usi la realtà per andare oltre la realtà, condizione necessaria per creare una narrazione aperta alle infinite possibilità della sensazione. E veicolando il colore e le trasparenze, la teca assorbe il tempo e lo determina con il passare delle ore della luce naturale. Nel caso poi la teca sia colpita da una luce diretta e intensa, essa è capace di portare le ombre colorate al di fuori di sé e l’ombra “spalmata” sulla superficie di supporto, ove rimane l’oggetto, ne ridisegna la struttura con effetti anamorfici-assonometrici. I Segni del Tempo hanno per lo più forme quadrangolari: teche strette come barre, sia rettangolari (Stallattiti) che cilindriche (Stallattiti Cilindriche), ma anche quadrate, triangolari o tonde, comunque tutte costruite “a cassetta”, dalla profondità mai superiore ai 9 cm, costituite da lastre di plexiglas (spessore 3 mm) tagliate al diamante o al laser. Negli ultimi tempi la collaborazione con una fabbrica di lavorazioni in plexiglas gli ha permesso di ottenere soluzioni e articolazioni costruttive veramente soddisfacenti ottenendo effetti che ricordano l’ultimo Morris Louis ma soprattutto Gene Davis e il Gunter Fruhtrunk degli anni Settanta.
La mostra “Transparency Changes” ovvero “Variazioni di Trasparenza”, alla Galleria Monopoli di Milano, già nel titolo sintetizza la dinamica dei lavori di Gambini; il passaggio della luce nelle teche identifica la proprietà della trasparenza come fondamentale dinamica dei cambiamenti nella percezione della forma delle stesse teche e nella misura del tempo della luce naturale, proprio come meridiane metafisiche.
In galleria sono presenti gli ultimi lavori della serie Segni del Tempo che mostrano una summa di diverse sperimentazioni dell’artista. Una grande opera rappresenta il tema “multitasking” di forma e disposizione mutevoli, Stallattiti Verdi Blu Gialle (2022); costituita da 22 barre monocromatiche, riconvertibili secondo un ordine sempre diverso - in questo caso disposte con uno schema sinusoidale appositamente pensato per la parete più grande della galleria – l’installazione appare come lo schema di una composizione musicale. Un’altra opera di grandi dimensioni, Grande Cornice Giallo Blu (2023), altrettanto modulare, si palesa come una citazione evidente (quanto effimera essendo scomponibile) del Pino Pinelli della serie Pittura del 1976, in realtà l’opera di Gambini è un sistema smontabile in 4 pezzi che possono formare una stallattite verticale o una linea di 6 metri di lunghezza. In questo senso questi due lavori dimostrano una fluidità di interpretazione dell’opera che non ha una sua forma definita e assoluta, ciò in qualche modo contravviene agli altri lavori di Gambini che sono macchine complete e finite.
Questo può essere interpretato come un atteggiamento elastico dell’artista che fa parte del mondo senz’altro volubile della Street Art, ciò senz’altro fluisce nella spinta immaginativa dell’artista ed è probabile che nelle sue ricerche future le due esperienze troveranno sempre di più punti di accordo.
L’esposizione presenta anche una serie di teche di dimensioni medie che accompagnano il visitatore verso la parte più raccolta della galleria. Queste sono opere dall’impatto cromatico e dalla tessitura formale intensa, come le teche Verde e Giallo (2022) e la squillante Rosso Giallo e Blu (2022) e poi tre “stallattiti” (Verde Blu e Bianco, 2022; Magenta Blu e Giallo, 2023; Blu e Giallo, 2023) che per la loro estrema sottigliezza (10 cm di larghezza x 100 cm di altezza) concentrano la tessitura orizzontale sulla lunghezza imprimendo una vibrazione fortissima all’intero sistema. Infine nella parte finale della galleria, al fondo della sala d’entrata, che appare come una specie di “cappelletta” con un lucernario, abbiamo collocato 9 piccoli Segni del Tempo cubici, a gruppi di tre, ognuno con una dialettica cromatica assai minimale ma concentrata sulle piccole dimensioni (20 x 20 x 9 cm); questi lavori, posizionati tutti sulla stessa linea di orizzonte e alla stessa distanza, formano un testo minimalista, che scandisce il loro tempo e il tempo dell’ambiente e, in qualche modo, seppur rimangano a tutti gli effetti singole opere, insieme costituiscono un sistema narrativo.
Questa mostra è espressione di un artista che ha il coraggio di credere nella “verità della luce”, cioè che la vita possa essere gioiosa se lo si vuole veramente nonostante le difficoltà e le asperità dell’esistenza. Allora, una frase dell’artista simbolo L&S James Turrell, sembra adattarsi perfettamente al mondo di sensazioni e affascinamenti di Leonardo Gambini: “la luce sa quando tu la guardi”.
Certo: perché la luce va sentita, va cercata, va capita, e non vi è un altro modo per illuminarci la via, anche quando intorno a noi c’è il buio.
Alberto Barranco di Valdivieso