
Nanni Valentini: “Il 1976, la pittura” (a cura di Flaminio Gualdoni)
17 Settembre 2015
Alberto Garutti: Tempo primo (a cura di Flaminio Gualdoni)
16 Marzo 201620 Gennaio - 6 Marzo 2016
Orari di apertura: martedì - sabato | 14.00 - 19.00
La Galleria Monopoli presenta la mostra personale di Antonio Scaccabarozzi.
Antonio Scaccabarozzi (1936 – 2008) è una figura di grande rilievo nell’orizzonte dell’arte italiana
del secondo dopoguerra.
Nell’ambito del lavoro sistematico svolto dall’Archivio Scaccabarozzi al fine di studiare e
documentare tutta la sua opera, in cui l’analitica pittorica si incrocia con un atteggiamento
concettualmente agguerrito, è esposto in questa mostra un gruppo di ricerche appartenenti alle sue
ultime stagioni.
Si tratta di opere caratterizzate dall’utilizzo di fogli di polietilene colorato sagomati, oppure sospesi
singolarmente o ancora sovrapposti, che determinano singole shapes evocanti suggestivamente
piante di templi greci e comunque di luoghi (Geografia), e altrimenti situazioni visive in grado di
implicare tutto l’ambiente.
“Quando ho scoperto questo materiale, il polietilene, ho subito intuito che possedeva numerose
caratteristiche che corrispondevano alle mie aspirazioni di lavorare sulla trasparenza, sulla
leggerezza, duttilità, instabilità ecc. Infatti il materiale si rivelò perfetto”: così ha scritto lo stesso
Scaccabarozzi.
Proveniente da un percorso di riduzione sino all’annullamento dell’intenzionalità del gesto pittorico,
nelle opere di cicli come
le Banchise e Ekleipsis egli utilizza fogli sulla cui translucidità e sulla cui opacità la luce fisica
variamente agisce, determinando situazioni percettive fortemente ambigue – ma lontanissimo gli è
il gioco dell’inganno ottico – in cui il colore si manifesta come qualità del puro apparire, pur
essendo connaturato al materiale stesso.
I fogli non sono tesi nella finzione della superficie pittorica, ma presentati nella loro fragile, mobile,
imperfetta condizione spaziale, come veri e propri plessi instabili che la luce, traversandoli, vivifica.
È, questa, una riflessione ulteriore rispetto all’enunciazione della monocromia storica, e un
intendimento dell’oggetto pittorico come effettiva presenza modificante: essa cambia la ratio stessa
della concezione convenzionale di pittura e insieme quella della lettura dell’immagine, che tende ad
assorbire lo sguardo dello spettatore in una situazione in cui la riflessione analitica si fa vero e
proprio, ineffabile mood.